Leggimi la mano Chirologia

giovedì 17 marzo 2011

La devozione al S. Bambino Gesù di Praga cenni storici e valori spirituali DI PADRE ROBERTO MORETTI


La devozione al S. Bambino Gesù di Praga
cenni storici e valori spirituali
DI PADRE ROBERTO MORETTI

La devozione a Gesù Bambino è stata sempre mol­to sentita nel Carmelo Teresiano. L'esempio e l'insegna­mento ci vengono proprio dai Santi Fondatori: Teresa di Gesù e Giovanni della Croce. Da loro ha avuto origi­ne la celebrazione del Natale con particolare solennità e gioia in tutte le comunità religiose, specialmente nei noviziati.
La tradizione ha conservato le poesie, piene d'in­canto e di tenerezza, da loro composte per venir cantate nelle veglie natalizie. E' noto che questa vena poetica ha continuato a scorrere nella loro Famiglia religiosa. So­no note le belle composizioni poetiche dedicate al Nata­le da Teresa di Lisieux e da Elisabetta della Trinità.
La devozione a Gesù Bambino fa parte dell'amore e del culto del Carmelo Teresiano ai misteri di Cristo presenti nella sua santissima Umanità. Sappiamo dagli scritti di S. Teresa di Gesù che la sua vita spirituale, da­gli inizi sino alle più alte vette della contemplazione e della esperienza mistica, è fiorita sotto l'irradiazione dell'Umanità di Cristo attraverso lo sviluppo dell'ora­zione e anche per l'influsso di eccezionali carismi.
La stessa cosa possiamo osservare in S. Giovanni della Croce il quale addita nella divina esperienza dei misteri dell'Umanità di Cristo la fonte più alta della contemplazione che unisce l'anima a  Dio e alla  sua ineffabile vita trinitaria, con tale intensità da «trasfor­marla per amore in Lui. La devozione a Gesù Bambino nel Carmelo Teresiano ha avuto varie manifestazioni attraverso i secoli. Una delle manifestazioni di più vasta risonanza è quella del Santo Bambino Gesù di Praga, sorta nel 1628 nel con­vento dei Padri Carmelitani Scalzi di Praga, diffusasi poi, e presente anche attualmente, in tutti i continenti, specialmente per la presenza e l'azione apostolica del Carmelo. Ricordiamo in modo particolare la Spagna, gli Stati Uniti, il Brasile. In Italia il centro di irradia­zione è la cittadina di Arenzano, con il suo Tempio e la pubblicazione di «Il Messaggero del S. Bambino Ge­sù di Praga», egregiamente stampato e largamente diffuso.
Sulla devozione al S. Bambino Gesù di Praga esisto­no numerosi libri e studi. Noi, per Facilitarne la diffu­sione presso i fedeli, ne tratteremo molto brevemente, ricordando i dati storici, indicando le verità della fe­de che devono sostenerla, i frutti spirituali che deve produrre.

I   Dati storici

La devozione al S. Bambino Gesù di Praga ebbe origine nel 1628, nel convento dei Padri Carmelitani Scalzi eretto, appunto, nella città di Praga, capitale del­la Boemia, oggi Cecoslovacchia.
Il convento dei Carmelitani era stato fondato nel 1624, come adempimento di una promessa fatta dall'imperatore Ferdinando II di Austria. Nel 1620 era avve­nuto un fatto molto importante per la Chiesa Cattolica e per l'Austria e la Baviera: la nota «Vittoria della Montagna Bianca», chiamata così dalla località sor­gente quasi alle porte di Praga. Il fatto avvenne l'8 no­vembre 1620. Esso appartiene alla sanguinosa «Guerra dei trent'anni», nella quale le truppe cattoliche cerca­rono di respingere le milizie protestanti che volevano conquistare al protestantesimo l'Austria e la Baviera.
Trovandosi in serie difficoltà per le condizioni dell’esercito, l'imperatore di Austria accoglieva la racco­mandazione del Duca Massimiliano di Baviera, designa­to a comandare le truppe, di richiedere al Sommo Pon­tefice Paolo V di inviare quale suo Legato il P. Dome­nico di Gesù Maria, carmelitano scalzo, celebre per la sua fama di santità e per il prestigio universalmente goduto. Egli l'aveva conosciuto a Roma.
Paolo V accondiscese alla richiesta e il P. Domeni­co fu inviato in Boemia. La sua parola ardente, ricca di fiducia nell'aiuto divino, rianimò le truppe. Tra le rovine del castello di Strakonitz aveva trovato un pic­colo quadro raffigurante il Natale, con la Vergine in adorazione del Bambino, con Giuseppe e i Pastori. La figura di Maria era stata profanata dai luterani, nemici del culto alla Vergine, con l'accecamento degli occhi. Il P. Domenico, ferito per quell'oltraggio, raccolse il quadretto, lo ripulì, lo appese al suo petto, ne parlò al­le truppe, infondendo in loro fiducia nella protezione di Maria e facendo loro indossare l'abitino del Carmine. Con sul petto l'immagine di Maria e recando con la ma­no il Crocifisso, il venerabile Padre, a cavallo si mosse in testa alle truppe che lo seguirono combattendo va­lorosamente. Fu una grande vittoria. Le milizie cattoliche entrarono vittoriose in Praga, inneggiando a Maria.
Il P. Domenico volle portare il quadretto a Roma perché fosse venerato nel centro della cattolicità che tanto aveva gioito della vittoria della «Montagna Bian­ca». La pia immagine fu esposta alla venerazione dei Romani nella Basilica di S. Maria Maggiore, dalla qua­le con memorabile solennità, con il concorso di tutto il popolo e con la presenza dello stesso Sommo Pontefice, fu portata processionalmente nella chiesa dei Carmeli­tani Scalzi, intitolata alla conversione di S. Paolo, ma che da quel giorno — l'8 maggio 1622 — si chiamò S. Maria della Vittoria. Per devozione a Maria, ad opera di nobili famiglie e di insigni artisti, la chiesa divenne tra le più belle di Roma.
A sua volta l'imperatore Ferdinando II mantenne la promessa che aveva fatto al P. Domenico come atto di propiziazione per la vittoria: introdurre nel suo regno l'ordine del Servo di Dio, cioè i Carmelitani Scalzi. Co­sì nel 1622 ci fu la fondazione di Vienna e nel 1624 quella di Praga.

Nel Carmelo di Praga nasce la devozione al Santo Bambino

IL 22 settembre 1624 i primi Carmelitani Scalzi fa­cevano il loro ingresso nel convento fondato da Ferdi­nando II a Praga. Per il momento erano solo due Padri originari della Spagna: Giuseppe della Croce e Marcelle della Madre di Dio. L'imperatore e il consiglio munici­pale consegnarono loro la chiesa della SS. Trinità — un tempio ex-protestante — con gli edifici annessi, ai quali i Carmelitani cambiarono il titolo in quello di Nostra Signora della Vittoria.
La situazione dei religiosi si rivelò ben presto mol­to difficile. La città in gran parte era formata da prote­stanti. Essi guardavano con astio a quella che era già la loro chiesa, particolarmente per il nuovo titolo che ricordava la loro sconfitta. Anche la situazione economica spesso diventava critica. L'imperatore propose di assicurare stabilmente la loro situazione con fondi sta­bili, ma i religiosi rifiutarono, preferendo di rimanere più fedeli alle loro leggi di povertà, affidandosi alla ca­rità dei fedeli. Ma la situazione di Praga era molto par­ticolare per il gran numero di protestanti.
Le condizioni non migliorarono con l'arrivo di al­tri religiosi. Uno di questi era il P. Gianluigi dell'Assun­zione di Maria, nativo di Spira, che aveva abbracciato il Carmelo e aveva professato a Roma. Nel 1628 egli prese la direzione della casa. Nelle gravi ristrettezze egli si rifugiava nella preghiera. Ed ecco come il Signo­re venne incontro alle sue richieste.
Un giorno la principessa Polissena di Lobkowitz, persona molto affezionata e benefattrice dei Padri, recatasi al convento, consegnò al superiore una statuina di Gesù Bambino dicendogli: «Padre mio, vi consegno ciò che ho di più caro. Onorate questo simulacro, e non mancherete mai di nulla».
La piccola statua era di una straordinaria bellezza, tutta spirante fascino, tenerezza e grazia. Rappresenta­va Gesù, bambinello di due o tre anni, in piedi, vestito di abiti regali, con la corona in testa, con la manina si­nistra che sorregge il mondo sormontato dalla croce e la manina destra nel gesto di benedire. Sembra che la statuina provenisse dalla Spagna, consegnata a Polisse­na da sua madre, Maria Manrìquez de Lara, nata prin­cipessa Pignatelli.
Il superiore accolse con grande gioia il piccolo Re, avendo già pensato di acquistare una statuina di Gesù Bambino per esporlo alla venerazione dei religiosi, parti­colarmente dei novizi che dovevano essere formati al culto dei misteri della Santa Infanzia del Salvatore, co­me in tutti i noviziati del Carmelo Teresiano.
Il piccolo Re fu collocato nell'oratorio. Con fiducia filiale i religiosi gli rivolgevano le loro preghiere e le suppliche di aiuto nelle loro necessità. Egli non tardò a rispondere con le sue benedizioni e la situazione del­la casa migliorò visibilmente.
Tuttavia la nuova situazione non durò a lungo. La guerra si riaccendeva continuamente. I torbidi militari obbligarono i superiori ad inviare a Monaco di Baviera i novizi, che erano i più fervidi devoti del Santo Bambino. Il 15 novembre 1631 il principe elettore di Sassonia con la sua armata pose l'assedio a Praga. Il 1° gennaio 1632 i propagandisti protestanti entrarono di prepotenza nel­la chiesa di S. Maria della Vittoria. Gli eretici saccheg­giarono chiesa e convento. I religiosi erano fuggiti. I due che erano rimasti furono imprigionati. Quando la burrasca passò, la statuina di Gesù Bambino venne ri­trovata in un ripostiglio, con le manine mozze, ricoper­ta di ogni sorta di immondizia e di ciarpame.

Il   Venerabile Padre Cirillo della Madre di Dio apostolo del S. Bambino

Per la diffusione di particolari devozioni nella Chie­sa il Signore usa servirsi di persone che gli servono co­me docili strumenti e generosi e santi collaboratori del­la paterna bontà di Dio. Per diffondere la devozione del Santo Bambino Gesù di Praga il Signore scelse il Vene­rabile P. Cirillo della Madre di Dio, nato il 1590 nel Lussemburgo, entrato nel Carmelo primitivo, passato nella Riforma di S. Teresa nel 1628.
Spesso le persone scelte da Dio per queste parti­colari missioni sono le prime a sperimentare i benefici dell'azione divina, perché possano dedicarsi all'impresa con profonda e incrollabile determinazione e siano an­che la testimonianza delle benedizioni promesse da Dio. Questo fu anche il caso del P. Cirillo. Egli infatti attra­versò periodi di acute sofferenze interiori per dubbi, incertezze e oscurità. In queste condizioni egli si ingi­nocchiava e pregava lungamente dinnanzi all'immagine di Gesù Bambino, e fu in questa preghiera insistente e dolorosa che ottenne la serenità e la luce che dissipò ogni dubbio ed egli si sentì ricolmo di pace e di gioia.
L'esperienza personale della bontà e della munifi­cenza di Gesù Bambino fece del P. Cirillo un apostolo instancabile della devozione all'Infanzia di Gesù attra­verso quella dolcissima immagine.
Quando i religiosi, dopo gli anni di invasione e di saccheggio, tornarono in convento, non parvero inte­ressarsi molto della piccola statua di Gesù Bambino: essa, infatti, era stata manomessa dagli eretici e getta­ta in un ripostiglio. Ma il Signore parve dolersi di quel­la trascuratezza, inviando ristrettezze materiali e per­mettendo sbandamenti spirituali nell'andamento della vita religiosa, nella disciplina e nella carità fraterna.
Nel 1637 tornava a Praga il P. Cirillo. Quasi con­temporaneamente le truppe svedesi irruppero di nuo­vo e assediarono la città. Il Superiore del convento esor­tò tutti alla preghiera e alla penitenza. Il P. Cirillo colse l'occasione per riportare in onore Gesù Bambino. La sua ardente preghiera non andò frustrata. Praga rimase immune dalla invasione nemica; in convento tornò la benedizione di Dio, con la pace e la tranquillità tra i religiosi.
Mentre un giorno pregava intensamente dinnanzi alla pia immagine gli sembrò di udire queste parole: «Quanto più voi mi onorerete, tanto più io vi favorirò».
Egli con l'aiuto di pii benefattori fece riparare la statuina cui gli eretici avevano con gesto sacrilego ta­gliate le manine. Una notte, mentre pregava più inten­samente la Madonna perché gli suggerisse come poter onorare più degnamente il Santo Bambino, in visione la Vergine gli indicò il luogo che egli doveva trasformare in oratorio per collocarvi la santa immagine.
Gesù Bambino manteneva la promessa fatta al P. Cirillo, ricompensando generosamente coloro che l'ono­ravano, come Daniele Wolf che si era offerto per far riparare la statuina, come ancora la baronessa Kolo-wrath guarita mentre era sul punto di morire. A causa -dei favori concessi la fama del Bambino taumaturgo si era diffusa in città e nei dintorni.
Per questi fatti i Padri si convinsero che al Santo Bambino si dovesse edificare una cappella tutta pro­pria. Intanto nell'altare dedicato alla Trinità, eretto per la munificenza di un benefattore si ricavò una nicchia in parete per poter esporre in pubblico l'immagine del S. Bambino.
Nel 1642 il barone Lobkowitz con la sua consorte, che tanto bene aveva fatto alla comunità, si offrì a fi­nanziare l'erezione di una cappella tutta propria del Piccolo Gesù. Si costruì proprio nel luogo indicato dal­la Madonna al P. Cirillo, e il 14 gennaio 1644, nella fe­sta del SS. Nome di Gesù, il Priore celebrò la prima santa Messa. Il 3 maggio 1648 fu solennemente consa­crata dal card. Ernesto Adalberto von Harrach, arci­vescovo di Praga. Il culto della prodigiosa statua aveva così ricevuto ufficiale conferma da parte della Chiesa.
La gente di Praga accorreva in massa a presentare al Piccolo Re le espressioni della devozione e le suppli­che per le loro necessità, ed egli era largo delle sue be­nedizioni. Tanta fede suscitò rispetto persino nei pro­testanti, che avevano radunato nel convento 160 feriti nel luglio del 1648. Lo stesso Gustavo Adolfo, generale in capo delle truppe svedesi, volle visitare l'immagine del S. Bambino, offrendo anche una elargizione.
Nel 1651 giungeva a Praga, in visita, il Superiore Generale dei Carmelitani, P. Francesco del SS. Sacra­mento. Nei conventi austriaci aveva sentito parlare dei prodigi operati da Gesù Bambino, ora voleva sentire notizie dirette. Il 26 luglio egli faceva scrivere una rela­zione ufficiale, divenuta in seguito molto famosa, con­tenente la piena approvazione del culto di Gesù Bam­bino da parte dell'Ordine. Quattro anni più tardi la pro­digiosa statua fu adornata di una preziosa corona d'oro. Il 19 marzo del 1656, per la munificenza del Barone von Tallemberg il piccolo Taumaturgo fu intronizzato nella cappella per Lui eretta nella chiesa, con grande concor­so di popolo.
Il P. Cirillo proseguì ancora per lunghi anni nella diffusione della devozione al Santo Bambino, spesso ot­tenendo da Lui grazie e prodigi, come viene testimonia­to dalla Cronaca. Egli moriva in concetto di santità il 4 febbraio 1675, a 85 anni di età.

La devozione al S. Bambino di Praga si diffonde nel mondo

Altri Carmelitani illustri zelarono la devozione al Santo Bambino di Praga. Ricordiamo in particolare il P. Emmerigo di S. Stefano, cecoslovacco di nascita (1691-1756), che fu anche superiore a Praga, e il P. Ildefonso della Presentazione, nato in Boemia (1692-1760), anch'egli superiore a Praga, eletto Superiore Ge­nerale dell'Ordine il 1737. Il primo diede particolare splendore alle celebrazioni in onore del S. Bambino a Praga, ne diffuse le immagine simili che cominciarono ad essere richieste in altri luoghi, e scrisse un'importan­te storia di questa devozione. Il secondo si servì anche della sua carica di Superiore Generale per promuovere il culto del S. Bambino, mettendo sotto la sua protezione il bene di tutto l'Ordine. Quando egli tornò definiti­vamente a Praga diede nuovo impulso al culto del Bam­bino nel nuovo magnifico altare che aveva fatto erigere nella crociera della chiesa. Dietro suo invito l'imperatri­ce Maria Teresa d'Austria visitò la prodigiosa immagine cui donò un prezioso abito con mantello di seta verde, cucito e ricamato di sua propria mano.
Il culto del S. Bambino conobbe a Praga anche tem­pi di silenzio e di dimenticanza. Così al tempo del «Giuseppinismo », verso la fine del secolo decimottavo e nel secolo decimonono, con la cacciata dei Padri Carmelita­ni dal convento, con la manomissione dei loro beni, persino con la vendita dei preziosi doni che adornavano la prodigiosa statuina.
Nella seconda metà dell'ottocento lavorarono egre­giamente per rianimare il culto e la devozione alcuni sacerdoti e alcuni arcivescovi di Praga. Tra di essi ricordiamo il card. Franz Schonbron, che fondò la «Confraternita del S. Bambino Gesù di Praga», i cui statuti ottennero l'approvazione pontificia il 13 mag­gio 1895. Altro arcivescovo di Praga benemerito della ri­nascita della devozione e del culto al Santo Bambino fu Carlo Raspar, il quale con l'azione e con gli scritti promosse il culto del Piccolo Re. Per sua iniziativa il Congresso Nazionale Cattolico del 1935 si celebrò nella chiesa di Nostra Signora della Vittoria e scelse come tema: «La funzione del S. Bambino nel restaurare omnia in Christo». L'anno seguente, scoppiata la rivoluzio­ne nella Spagna, esortò la popolazione a tenere delle novene ai piedi del miracoloso Bambino, affinché la nazione da cui proveniva la miracolosa Immagine fos­se liberata dal comunismo ateo.
Il suo successore, il venerando card. Josef Beran, appena liberato dal campo di concentramento di Dachau, ove era stato deportato dai nazisti, ebbe come primo pensiero quello di celebrare una S. Messa all'al­tare di Gesù Bambino. In ringraziamento per la sua liberazione egli cambiò il titolo della chiesa dei Car­melitani in quello di «Nostra Signora del S. Bambino Gesù di Praga».
Dal 1948, con l'avvento del comunismo ateo, è calato di nuovo un cupo silenzio attorno al S. Bambino. Nel cuore dei fedeli la devozione non è morta e la loro spe­ranza attende che l'amara esperienza dell'oppressione, generata come un frutto naturale dal comunismo ateo, affretti il ritorno di quella libertà e di quell'amore che nascono dalla dolce grazia del S. Bambino, Re della pace.
Intanto la devozione al Santo Bambino Gesù di Praga si è diffusa largamente in tutto il mondo, spe­cialmente ad opera dei Carmelitani Scalzi. Nelle loro chiese abitualmente l'incantevole immagine del Picco­lo Re accoglie i suoi devoti, specialmente i bambini, i suoi prediletti.
In Italia particolare importanza è andato assumen­do il santuario-basilica di Arenzano, dove tutto l'anno confluiscono migliaia di fedeli per onorare Gesù Bambi­no. I Padri Carmelitani Scalzi non solo per mezzo delle celebrazioni religiose, ma anche attraverso la rivista mensile «Il Messaggero del S. Bambino Gesù di Praga», stampata in diecine di migliaia di copie, ne diffondono largamente nel mondo la devozione, ne narrano i be­nefici elargiti, ne illustrano i valori spirituali. Giusta­mente per questi motivi Arenzano può essere chiamata la «nuova Praga».

II   Le grandi verità che accompagnano la devozione del S. Bambino

Affinché la devozione sia autenticamente cristia­na, essa non può basarsi sul sentimentalismo, né può essere un sentimento emotivo, né deve consistere nell'attesa di miracoli e di benefici, specialmente di quelli materiali come la salute, il benessere, il successo e si­mili. E’ vero che le grandi espressioni della devozione sono spesso accompagnate da molteplici grazie, o an­che da veri e stupendi miracoli, come accade particolarmente a Lourdes, tuttavia rimane sempre vero che la devozione deve essere prima di tutto una professione di fede e una dedizione di amore, espressione di culto, cioè di riconoscimento della grandezza di Dio.
«Devozione», infatti, significa «dedizione», «of­ferta di sé», impegno generoso e fedele nel servire Dio, disponibilità fervorosa e lieta a fare la sua volontà per piacergli.
Queste qualità devono caratterizzare anche la de­vozione al S. Bambino. Solo vissuta con queste carat­teristiche, tale devozione costituisce un aiuto prezioso per far progredire la nostra vita cristiana e una fonte di valori spirituali.
Cominciamo con il domandarci: quali sono le veri­tà della nostra fede che devono accompagnare la devo­zione al S. Bambino.

1. L'ineffabile mistero del Verbo Incarnato
La verità che sta alla base della devozione al S. Bambino, anzi che ne costituisce tutta la ricchezza, è quella realtà dell'Incarnazione del Verbo di Dio che viene espressa dalle parole del Vangelo di Giovanni: «E il Verbo s'è fatto carne ed ha dimorato fra noi, e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria che come uni­genito ha dal Padre, pieno di grazia e di verità... E dal­la sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto, e grazia su grazia» (Gv 1, 14,18).
Nel verbo Incarnato sono racchiusi molti e grandi misteri che ne rivelano la perfezione infinita. La fede piena d'amore di questi misteri deve fondare e gui­dare la nostra devozione.
Capita che contemplando Gesù Bambino nel pre­sepe o nelle sue immagini la nostra attenzione venga attirata soprattutto su aspetti e circostanze esterne, che parlano alla nostra sensibilità. Ma la devozione più vera non deve limitarsi a queste esteriorità; deve cer­care di penetrare più addentro nella grandezza di Gesù, leggendo e meditando la Parola di Dio.
Da questa Parola noi sappiamo che questo Bambi­no, il figlio della vergine, è l'Emmanuele, cioè Dio-con-noi (Is 7,14); che «sulle sue spalle è il segno della so­vranità, ed è chiamato per nome: consigliere ammirabi­le, Dio potente, padre perpetuo, principe della pace» (Is 9,5); che su lui riposerà lo spirito di Dio in tutta la sua pienezza (Is 11,2).
L'evangelista Giovanni parlando del Verbo fatto carne, ci dice che egli è la Vita, la Luce immensa che viene per illuminare tutto il mondo, la sorgente di tut­te le cose create, il Verbo della vita che era presso il Padre e si è manifestato a noi, creando la comunione tra di noi e di tutti noi con il Padre. Questo sublime insegnamento lo abbiamo nel primo capitolo del Vange­lo e nel primo capitolo della prima Lettera di Giovanni.
La stessa esaltazione del Verbo Incarnato la trovia­mo in S. Paolo, ad esempio nella Lettera ai Colossesi, quando scrive che il Cristo «è immagine di Dio invisi­bile, primogenito avanti ogni creatura; poiché in lui tutte le cose furono create... tutto è stato creato per mezzo di lui e per lui, ed egli esiste avanti tutte le co­se e tutte hanno consistenza in lui» (Col 1, 15-17). Il Padre fa abitare in lui tutta la pienezza (Col 1, 19); in lui «sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza» (Col 2, 3), anzi «in lui abita corporalmen­te tutta la pienezza della divinità» (Col 2, 9).
Non meno splendide sono le immagini della Lettera agli Ebrei, ove si afferma che il Padre ci ha parlato «per il tramite di un Figlio che ha costituito erede di tutto e mediante il quale ha anche creato l'universo» (Eb 1, 2). Egli viene detto «fulgore della gloria e im­pronta della sostanza di lui e sostiene ogni cosa con la sua parola possente» (Eb 1, 3).
Tutte queste cose, e tante altre simili, che si tro­vano nella Sacra Scrittura, devono essere tenute pre­senti, meditate e assimilate, per far sorgere nel cuore la profonda devozione verso il S. Bambino; una devo­zione che allora diventa adorazione, dedizione di tutta la nostra persona, prontezza ad eseguire ogni espressio­ne della sua volontà, desiderio ardente di piacere a lui in ogni cosa. In una parola, allora si ha una devozio­ne autenticamente cristiana, una forza potente che spin­ge a santificarci.

2. I soavi misteri dell'Infanzia di Gesù
Tenendo sempre presente la divina grandezza del Verbo venuto ad abitare in mezzo a noi, dobbiamo coltivare la devozione ai santi misteri dell'Infanzia del Signore: una devozione che sarà necessariamente te­nera e soave, come teneri e soavi sono questi misteri. Ma dobbiamo sottolineare la parola «misteri», perché in tutte le vicende vissute da Gesù è sempre presente la realtà «mistero», nel senso di una realtà divina e santificante, come la Persona del Verbo Eterno che si unisce e opera nella natura umana. E' necessario, per la devozione a Gesù Bambino, ricordare che tutte le sue azioni, anche le più ordinarie, vengono operate dal­la sua Persona divina, vivente nella natura divina e nella natura umana.
Per suscitare e nutrire fruttuosamente tale devo­zione è necessario rifarsi sempre alla Parola di Dio, di­rettamente e soprattutto come ci viene servita nella sa­cra Liturgia; ma può essere di aiuto e di stimolo an­che la lettura di libri che ci trasmettono similari espe­rienze dei santi e di qualificati testimoni della spiritua­lità della Chiesa. Tali esperienze stanno a dimostrare come la devozione ai misteri della Infanzia di Gesù pos­sa promuovere il nostro progresso nel cammino della santità. Diamo alcune brevissime indicazioni su questi santi misteri.

a) «Per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel se­no della Vergine Maria»
E' il primo e come l'origine dei misteri dell'In­fanzia di Gesù. La forza santificante dei misteri dell'In­fanzia si coglie alla sua sorgente. L'opera della Incarna­zione, che unisce nell'unica Persona del Verbo la natu­ra divina e la natura umana, è cosi grande ed è così santa, che poteva essere realizzata solo dalla infinita potenza e dalla infinita santità dello Spirito, Amore del Padre e del Figlio. Il rapporto viene sottolineato dall'Angelo in risposta alla domanda della Vergine Annunziata: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti adombrerà, perciò anche il bambino che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio».
Tutto qui è divino e santo: lo Spirito, il Bambino, la Madre vergine, «piena di grazia». E' qui, soprattutto, che la devozione alla Infanzia di Gesù deve diventare adorazione profonda, contemplazione, lode, come quel­la di Maria: «L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore» (Le 1, 46).

b)  «La Vergine Madre l'attese e lo portò in grembo con ineffabile amore»
Con queste parole la Liturgia dell'Avvento sembra voler esprimere il mistero dei nove mesi durante i qua­li, sotto la continua opera dello Spirito Santo, Maria formò il corpo del suo Bimbo divino. La devozione alla santa Infanzia di Gesù sente il fascino misterioso di questa attesa della salvezza, chiusa ad ogni sguardo mortale, dolcemente tramata dall'amore dello Spirito Santo e di Maria. Ma la devozione intuisce con l'occhio del cuore e adora con il desiderio ardente della Vergine, nel quale è confluito il desiderio di tutti i giusti e dei profeti.
Con la Chiesa saluta la Vergine Annunziata come «la casa della Divinità, ripiena della luce dello Spirito Santo» (Liturgia del 18 dicembre). Meditando sul Van­gelo di Luca (Le 1, 39-56), segue i passi frettolosi della Fanciulla verso la regione montana della Giudea, ascol­ta l'esclamazione stupita di Elisabetta, ammira l'azio­ne arcana dello Spirito nell'esultanza dei due Bimbi nel seno delle madri, impara a cantare con l'anima di Maria.

c)  Il mistero del Natale
La devozione a Gesù Bambino trova nel Natale, ov­viamente, la sua sorgente primaria, una sorgente ine­sauribile, riguardo a tutti i suoi aspetti: adorazione, lo­de, servizio, consacrazione, gioia spirituale. Questa devo­zione non ha che da guardare al Vangelo; non ha che da aprirsi alle pagine ispirate della sacra Liturgia ove la Chiesa fa passare tutta la sua gioia, le sue speranze, tutte le aspirazioni dell'umanità.
Il Natale di Gesù è un mirabile compendio di tutto il mistero cristiano. E' la rivelazione salvifica dell'azio­ne e della presenza trinitaria con la realizzazione del disegno di amore del Padre che ci dona il suo Figlio Unigenito, l'oggetto di tutte le sue delizie; con la rive­lazione della potenza dello 'Spirito Santo nell'opera più alta: l'Incarnazione del Verbo nel seno di una Vergine; soprattutto la rivelazione del Verbo-vita, del Verbo-lu­ce che si è fatto «carne», secondo la forte espressione di Giovanni. Secondo la non meno forte espressione di Paolo: «svuotò se stesso, prendendo la nostra condizio­ne di servo» (Fil 2, 7).
Non si finirà mai di meditare sulla povertà nella quale Gesù viene nel mondo, nella notte, in una grotta ricovero di animali, non essendoci posto nell'albergo per i suoi. Per alimentare la nostra devozione verso il Bimbo che nasce — guardando con occhio umano — in tanto squallore, mediteremo che il suo è un mirabi­le gesto di amore verso l'infinita moltitudine di poveri nel mondo, ricordando le parole di S. Paolo: «Cono­scete l'opera di grazia del Signore nostro, Gesù Cristo: per voi egli, ricco qual era, si fece povero per arricchi­re voi mediante la sua povertà» (2 Cr 8, 9).
La devozione alla santa Infanzia di Gesù si alimen­terà nella stupita riflessione di un Re che arriva senza che alcuno lo attenda, dell'Eterno che nasce nel tempo, dell'Immenso avvolto in poche fasce, del Dominatore del mondo che viene adagiato in una mangiatoia, del Ver­bo che non sa ancora pronunciare una parola, dell'Onni­potente che è la stessa debolezza.
Ma il Natale di questo Bambino è, in realtà, una «festa» che penetra e sommerge tutto l'essere e irradia con forza divina sul mondo. E' la festa della luce che brilla nella notte. E' la festa della pace e della gioia che racchiude tutti i beni della salvezza. E' la festa della gloria divina che illumina e riempie il cielo e la terra. Tutto questo è il Bambino di Betlemme. Beato chi dalla fede, dall'amore, dall'azione interiore dello Spirito Santo e dalla celestiale bellezza di Maria viene condotto a contemplarne il mistero.

d)  Il fascino della stella
La devozione ai misteri della Infanzia del Signore si alimenta copiosamente alla realtà e ai simboli dell'ado­razione dei Magi, insigni modelli di tale devozione. La luce esterna della stella e quella interna della fede, l'at­trazione segreta dello Spirito e la ricerca appassionata, la fatica del lungo viaggio e la gioia dell'incontro con il bambino, l'amore adorante e l'offerta di doni preziosi, le carezze al Bambino e il colloquio con Maria. Sono altrettanti aspetti della profonda devozione di quei per­sonaggi illustri, e altrettanti motivi e simboli di tutti coloro che lungo i secoli camminano verso Betlemme, vanno in cerca del Re di amore e di pace, sono felici di riconoscere la sua signoria, di servirlo, di consacrargli speranze, desideri, iniziative; o anche tutta intera la persona in dominio esclusivo, nella consacrazione sa­cerdotale o religiosa.
Epifania: la rivelazione del Figlio di Dio nel Figlio di Maria. La festa della Luce che sorge sull'orizzonte del mondo per illuminarlo con la potenza della verità che ci fa liberi perché ha la forza di distruggere l'errore, la menzogna e ogni idolatria dell'orgoglio.
e)  «Gli fu dato il nome di Gesù» (Le 2, 21)
La devozione ai misteri della Santa Infanzia ha un nome da ricordare, da chiamare, da ripetersi, da scolpir­si nel cuore come usano gli amanti: Gesù.
E' il nome proprio che l'infinito amore misericor­dioso del Padre ha voluto per il suo Figlio Unigenito di­venuto figlio di Maria: «Concepirai nel grembo e par­torirai un figlio e gli imporrai nome Gesù. Egli sarà chiamato Figlio dell'Altissimo» (Lc 1, 31-32). A Giusep­pe l'angelo aveva detto riguardo a Maria: «Essa parto­rirà un figlio al quale tu imporrai nome Gesù. Egli, infatti, salverà il proprio popolo dai suoi peccati» (Mt 1, 21).
L'anima devota sa indubbiamente che questo nome è grande, «superiore ad ogni altro nome» (Fil 2, 9), che mette in ginocchio ogni essere nei cieli, nella terra, nell'inferno. Il solo nome nel quale ogni uomo può tro­vare la salvezza (cf Atti 4, 12). Ma l'anima devota go­de nel pensare che questo nome è tutto amore, perché Gesù vuoi dire «Salvatore», e la «salvezza» di Dio è solo Amore misericordioso. Diceva Gesù alla beata Angela da Foligno, mentre sfogliava dinanzi ai suoi oc­chi tutta la storia della sua salvezza: «Vedi se c'è altro che amore».
Ecco perché i santi, giunti alla perfezione dell'amo­re, e specialmente i mistici e gli alti contemplativi, pos­sono concentrare tutto il loro essere nel ripetere il no­me di Gesù.

f)  «Lo portarono a Gerusalemme per presentarlo al Signore» (Le 2, 22)
Nel racconto dell'Infanzia di Gesù l'evangelista Lu­ca ha dedicato una pagina deliziosa alla presentazione del Bambino Gesù nel tempio di Gerusalemme, avve­nuta quaranta giorni dopo la nascita. Tutto si svolge nell'atmosfera dello Spirito Santo.
Maria, la giovanissima Madre Vergine, che al dire di S. Giovanni della Croce non fu mai mossa ad operare da creatura umana, ma solo dall'impulso dello Spirito Santo, portò il suo Bambino a Gerusalemme per offrir­lo al Padre nel tempio, come prescritto dalla legge del Signore riguardo al primo maschio. Era l'affermazione del diritto di Dio datore della vita. Questo riconosci­mento della sua signoria avveniva nel tempio, luogo della sua presenza, della sua gloria, della sua santità.
Maria entra nel tempio portando il Bambino tra le braccia, lo riscatta con l'offerta dei poveri, lo alza come offerta al Padre. Mai tanta gloria di Dio era entrata nel tempio. E che cos'era il pur magnifico tempio materiale in confronto del tempio di quella Umanità costruita dal­lo Spirito Santo nel seno della Vergine immacolata?
Mentre Maria compiva l'offerta del suo Piccino al Padre, si avanza un venerando vecchio che sembra por­tare negli occhi e in tutto il viso la trasparenza dello Spirito. Lo Spirito Santo, infatti, l'ha condotto a quell’incontro, da lungo tempo promesso e impazientemente atteso. Simeone, l'uomo pio e giusto, l'uomo di Dio che attendeva la salvezza annunziata dai profeti del suo po­polo, sentì illuminarsi più chiaramente la rivelazione dello Spirito Santo. Guardò il Bambino tra le braccia della Mamma, vide la Luce, lo prese nelle sue braccia, e cantò alla Luce sorta per illuminare tutte le genti, cantò alla gloria d'Israele, cantò alla sua libertà dalla vita terrena, compiutasi ormai la salvezza promessagli dallo Spirito.
Poi sembrò spingere lontano lo sguardo, per legge­re nei segni del futuro per il Bambino e per la Madre: «Ecco, questi è posto per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e per segno contraddetto, e a te stessa una spada trapasserà l'anima, affinché siano sve­lati i pensieri di molti cuori» (Lc 2, 34-35).
Anche la profetessa Anna, una donna santa, tutta votata al culto di Dio giorno e notte dal tempo della sua giovanissima vedovanza, sopravvenuta in quel mo­mento, «si mise anch'essa a lodare Dio e parlava del bambino a tutti coloro che aspettavano la liberazione di Gerusalemme» (Le 2, 38).
Ecco, dunque, una pagina stupenda per capire la natura e la efficacia spirituale della vera devozione ai misteri della santa Infanzia di Gesù. Qui ogni anima può accostare i grandi modelli e ispirare la sua vita spiri­tuale, qualunque sia il suo stato nella famiglia umana.
g)   L'esperienza dell'esilio
Dal Vangelo di Matteo noi apprendiamo che nell'in­fanzia di Gesù non è mancata l'esperienza dell'esilio, imposta dalla prepotenza e dalla tirannia: quella espe­rienza che è tra le più amare che l'umanità conosca. Una realtà amara che rattrista anche tanti uomini e comu­nità umane del nostro tempo.
Partiti i magi senza ripassare da Erode, un angelo appare in sogno a Giuseppe: «Levati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta lì fin­ché io te lo dica: poiché Erode si accinge a ricercare il bambino per farlo perire. Giuseppe si levò, prese con sé, di notte, il bambino e sua madre, e sì ritirò in Egitto» (Mt 2, 13-14).
Un bambino di pochi giorni, con due genitori po­veri e privi di ogni protezione umana, obbligati all'esi­lio, con una fuga precipitosa, per sfuggire all'eccidio di un folle tiranno: ecco un tema su cui il devoto dell'In­fanzia di Gesù è chiamato a riflettere profondamente, imparando ad abbandonarsi, nella fede, al mistero della volontà di Dio.
Come segue il muoversi con fede nella volontà di Dio da parte della Sacra Famiglia che ad un cenno del­l'angelo lascia l'esilio, torna in Giudea, teme le possi­bili ire del figlio del tiranno e si rifugia nella casetta dell'oscuro villaggio di Nazaret. Nazaret: un silenzio profondo pieno di luce: «Intanto, il bambino cresceva, si fortificava ed era pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui» (Lc 2, 40),
3.   Il mistero dell'uomo nuovo
Tra le verità della fede che devono accompagnarsi alla vera devozione verso i misteri della Infanzia di Gesù ci sono anche quelle che riguardano l'uomo. Esse non si possono separare da quelle che costituiscono il mistero del Verbo Incarnato, perché questi non esiste senza l'umanità da lui rinnovata.
Egli viene nel mondo anche come Capo del Corpo Mistico il quale, nel senso più esteso, abbraccia tutta l'umanità. Gesù la salva in quanto la unisce a sé e la fa vivere della sua stessa vita, come la vite fa vivere i suoi tralci.
Questa verità, che solo la fede ci comunica, getta una luce meravigliosa non soltanto sull'Amore del Pa­dre e sull'azione santificante di Cristo e dello Spirito Santo, ma anche sulla eccelsa grandezza dell'uomo. Per­ciò chi ha una devozione illuminata e consapevole all’Umanità di Gesù non si deve vedere diversamente che
avvolto e come permeato e trasfigurato nello splendore del Verbo Incarnato, «pieno di grazia e di verità» (Gv 1, 14). Stupenda è l'affermazione di S. Paolo: «In lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità e siete divenuti anche voi partecipi di questa pienezza in lui» (Col 2, 9).
Questa è l'umanità nuova: nei singoli e nella co­munità universale. Questa realtà immensa senza dub­bio avrà la sua piena dimensione quando parteciperà totalmente alla Risurrezione e alla glorificazione di Cristo, ma comincia realmente ad esistere con la con­cezione e la nascita di Gesù.
Quanto è grande l'uomo! Ha ragione S. Giovanni della Croce di affermare: «Vale più un pensiero dell'uomo che tutto il mondo, e di questo pensiero solo Dio è degno» (Avvisi e sentenze spirituali, n. 32).
4.   Il mistero di Maria
Il rapporto tra l'Infanzia di Gesù e il mistero di Maria è così intrinseco ed essenziale che non si posso­no assolutamente separare le due realtà.
Nel disegno del Padre la Vergine Maria è tutta vi­sta e voluta nel mistero del Verbo Incarnato. Tutti i privilegi di Maria, tutta la sua grazia, tutte le sue fun­zioni, in qualsiasi momento della sua vita, terrena o ce­leste, sono determinate dalla sua funzione materna.
Tutto il «mondo» meraviglioso di Maria ci può e ci deve introdurre nella conoscenza e nell'amore di Gesù. Si tenga presente questo prezioso insegnamento del Concilio Vaticano II: «La Chiesa pensando a Maria con pietà filiale e contemplandola alla luce del Verbo fatto uomo, con venerazione penetra più profondamen­te nell'altissimo mistero dell'Incarnazione e si va ognor più conformando con il suo Sposo. Maria, infatti, la quale, per la sua ultima partecipazione alla storia della salvezza, riunisce per così dire e riverbera i massimi dati della fede, mentre viene predicata e onorata, chia­ma i credenti al Figlio suo, al suo sacrificio e all'amore del Padre» (Lumen Gentium, 65).
Bisogna tener presente che Maria, per la pienezza della sua grazia e l'adesione totale e incondizionata alla volontà di Dio, con ardentissimo amore concepì, gene­rò, nutrì Gesù, lo presentò al Padre nel tempio, soffrì con lui sotto la croce, cooperò con tutto il suo essere all'opera della nostra salvezza. Perciò la presenza di Maria è essenziale in questa devozione.

III Caratteristiche della devozione a Gesù Bambino
1. Come non deve essere
a) Non deve essere una espressione della nostra sensibilità, del sentimentalismo, di una passeggera e superficiale emotività: atteggiamenti che derivano dal «piacere» nel vedere la sua «bella» immagine, un bell'altare, una bella chiesa, una commovente cerimonia e cose simili. Questa forma di devozione è del tutto su­perficiale e passeggera.
b) Non deve essere una semplice abitudine, un gesto che si fa per convenienza, per compiacere una persona, per conformarsi al comportamento di persone  amiche, ecc. Tutto questo non ha valore per esprimere la nostra fede, il nostro amore, il nostro desiderio di vita cristiana.
c) Non deve essere una pura ricerca del benefi­cio, di un miracolo, di una manifestazione straordina­ria dell'intervento divino. Specialmente quando si trat­ta di puro beneficio materiale, come una guarigione, una riuscita in un affare, la sicurezza economica, il superamento di un esame, una buona sistemazione ma­trimoniale e cose simili, tale devozione è troppo interes­sata per costituire una testimonianza di amore e del nostro servizio per onorare Gesù Bambino.
E' evidente che noi possiamo domandare al Piccolo Re tutte quelle grazie che corrispondono alla sua vo­lontà a nostro riguardo, ma il motivo determinante del­la nostra devozione deve essere l'amore e l'onore che noi vogliamo rendergli.
2.   Il culto e la preghiera
La vera devozione a Gesù Bambino trova la sua espressione in modo particolare nel culto autentica­mente cristiano e in varie forme della preghiera.
Il culto nasce dalla fede e dall'amore. La fede, scaturiente e alimentata dalla divina rivelazione, dallo studio della Parola di Dio, dalla sacra Liturgia e dall' insegnamento della Chiesa, ci fa conoscere l'infinita grandezza di Gesù, i suoi santi misteri, le sue divine perfezioni, specialmente il suo amore che, al dire di S. Paolo, supera ogni conoscenza. E' da questa cono­scenza della fede che deve nascere la nostra devozione come culto nelle sue varie componenti: l'adorazione, la lode, il fervoroso atteggiamento di gratitudine per i grandi beni della salvezza e di umiltà per le nostre colpe.
Per nutrire degnamente questo culto l'anima nostra ha bisogno di raccogliersi nel silenzio e nella profonda meditazione, per scoprire, sotto la illuminazione dello Spirito Santo, i profondi misteri del Verbo Incarnato, che sono come un mare profondo, inscandagliabile.
In modo particolare l'anima nostra dovrebbe arri­vare a tale grado di preghiera interiore da ottenere da Dio almeno un inizio della contemplazione e della espe­rienza di Cristo che ci inabita e ci riempie della sua grazia, della sua vita, della sua santità. S. Paolo chia­mava Gesù «la vita nostra» (Col 3, 4). Nella sua alta esperienza di Cristo egli diceva di se stesso: «Non più io vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2, 20).
Questa conoscenza profonda, questa divina espe­rienza di Cristo vivente in noi viene dall'azione dello Spirito Santo, il quale ci viene dato appunto per sve­larci il mistero di Cristo: «Sarà il Consolatore, lo Spi­rito che il Padre invierà nel mio nome, a insegnarvi tutte queste cose e ricordarvi tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14, 26). Perciò il vero devoto di Gesù Bambi­no invocherà frequentemente e con ardore lo Spirito Santo per ottenere la conoscenza interiore delle gran­dezze del Verbo Incarnato.
Quando l'anima raggiungerà questo culto intimo di Gesù Bambino, un culto tutto fatto di adorazione e di amore, anche le forme esterne della devozione e del culto avranno valore di testimonianza e di segno. Non solo, ma l'anima devota si farà una promotrice zelante del culto al S. Bambino, spinta dal bisogno di farlo co­noscere, farlo amare, farlo lodare come il dolce Re dei cuori, il Re della pace, il vero amico degli uomini.
Da questo intenso fervore spirituale, nato dall'ora­zione, dalla contemplazione e dalla esperienza misti­ca, è sbocciata tra le altre, la dolce poesia natalizia del Carmelo Teresiano.

3.   L'imitazione
Ogni vera devozione cristiana, essendo fatta di amo­re e di adorazione, porta all'imitazione del modello.
L'imitazione di Gesù Bambino, per il rapporto tutto proprio tra il Verbo Incarnato e l'uomo, porta ali'assimilazione vitale, a vivere cioè della stessa vita di Cristo.
Per la natura di questo stesso rapporto la devozio­ne autentica porta a rassomigliare a Gesù nelle sue virtù: qui, in modo particolare, nelle virtù della sua Infanzia.
Questa assimilazione proviene, come da sorgente, dall'azione che Gesù Bambino viene esercitando sull' anima, perché non può essere che Lui il maestro e l'ar­tefice delle virtù «cristiane». Egli, infatti, risiede e ope­ra in noi come sorgente di ogni grazia e di ogni virtù. I santi misteri della sua Infanzia hanno questa forza plasmatrice e santificante.
Tuttavia l'uomo è fortemente impegnato nell'eser­cizio delle virtù, perché non è uno strumento puramen­te materiale, ma un collaboratore dell'Artefice divino. Egli, dunque, impegnerà tutto se stesso nello studiare il suo Modello, per ricopiarne le perfezioni, per colti­vare in sé le virtù di lui.
Si tratta ovviamente di un lavoro lungo e paziente, dato che le virtù caratteristiche della santa Infanzia del Salvatore sono ardue perché molto lontane dalle ten­denze naturali dell'uomo.
Indichiamole brevemente.
L'UMILTÀ. Conosciamo l'insegnamento di Gesù sull'umiltà e la piccolezza (Mt 18, 2-4). S. Paolo, esortan­do i cristiani ad avere nel cuore gli stessi sentimenti di Gesù, ricorda il «salto» abissale da lui compiuto: dallo splendore della gloria all'annientamento sino alla condizione di servo e alla umiliazione della croce (cf Fil 2, 7-8). Il bambino è l'essere tutto "debolezza, incapaci­tà di provvedere a se stesso, bisogno totale degli altri.
L'uomo, invece, sembra costruito di amore di sé, di autosufficienza, di desiderio di realizzarsi ardente co­me la fame e la sete. Quasi per istinto e per legge di vita queste disposizioni tendiamo a portarle anche nel campo spirituale. Di qui l'immane compito dell'umiltà genuina, quella dell'infanzia evangelica. Dalle profon­dissime radici della superbia e dell'amore di sé ci li­bera solo l'umiltà di Gesù infusa fin nella profondità del nostro essere. E' l'umiltà del Verbo fatto carne che l'anima spirituale cerca di contemplare e di attirare amorosamente in sé guardando al presepe di Betlemme.
LA POVERTÀ' DI SPIRITO. La povertà evangelica è la prima delle «beatitudini», e si potrebbe dire quel­la che le abbraccia tutte (cf Mt 5, 3 ss). Fatto di sensi e di bisogni, immerso nelle cose che attirano e piaccio­no, l'uomo sente di essere un nulla, di non valere, di non vivere se non ha la felicità di possedere.
Come l'amore di sé, così la cupidigia di avere e la sicurezza di possedere sembrano identificarsi con il nostro essere.
Perciò anche la povertà di spirito, con il radicale distacco da tutto per cercare e possedere Dio solo, è virtù difficilissima e divina. E anch'essa è dono di gra­zia e dell'amore gratuito di Dio che riempie di sé, anzi dilata immensamente, il cuore dell'uomo. Anche questa divina virtù il cristiano è invitato a contemplarla nel Bambino di Betlemme.
IL TOTALE ABBANDONO. Il bambino trova tutta la sua sicurezza, la sua forza, la sua gioia nell'amore dei genitori, e specialmente tra le braccia della mamma. Qui egli ama e si addormenta.
Nella vita spirituale nulla è così importante ed ef­ficace, e nulla dilata il cuore come la cieca fiducia e il totale abbandono tra le braccia di Dio. Frutto delizioso della grazia e dell'amore di Dio nostro Padre, tale con­dizione felice scaturisce dall'umiltà e dalla povertà di spirito. L'uomo spirituale lo ricerchi negli occhi e nel cuore di Gesù Bambino, stretto tra le braccia di Maria. Così la devozione a Gesù Bambino, per la via dell'infan­zia spirituale, ci condurrà alla perfezione dell'amore.
Conclusione
La devozione al S. Bambino di Praga è una forma o espressione particolare della devozione a Gesù Bam­bino e ai misteri della sua santa Infanzia: devozione, questa, che fa parte della spiritualità cristiana ecclesia­le incentrata nella sacratissima Umanità di Gesù.
Tale spiritualità è stata molto sentita nel Carmelo Teresiano sin dalle origini ed ha costituito un oggetto particolarmente amato della sua vita di preghiera con­templativa, dell'ascetica delle virtù, della comunione familiare, delle manifestazioni esteriori della sua reli­giosità, del suo apostolato ecclesiale.
La dolcissima immagine del S. Bambino Gesù di Praga ci rappresenta il Piccolo Re che vuole dominare tutto il mondo con l'amore, con le irresistibili grazie della sua Infanzia, con i favori che desidera dispensare a tutti, specialmente ai piccoli.
E come Egli, per la divina Maternità verginale di Ma­ria, è venuto a noi nell'amore fatto semplicità, umiltà, povertà, dedizione totale, così desidera di averci amici sinceri, umili imitatori della sua povertà e semplicità, che sappiano amare i fratelli come li ama Lui; soprat­tutto amici che credano e si abbandonino alla tenerezza e alla ricchezza del suo amore: «Più voi mi onorerete, più io vi favorirò».
L'esperienza di tante anime — basti per tutte Tere­sa di Gesù Bambino con la sua «piccola via dell'infan­zia spirituale» — è una testimonianza convincente che la devozione alla santa Infanzia di Gesù, vivificata dalla meditazione amorosa dei suoi misteri e dall'impegno Dell'imitare le sue virtù, è uno stimolo potente per il progresso nel fervore della vita cristiana.
Perciò coltiviamo questa santa devozione e diffon­diamola fra le famiglie e specialmente tra i bambini, ai quali sono riservate speciali grazie e favori dall'amo­re di Gesù Bambino.

Nessun commento:

Posta un commento

Enrico Pallocca Coaching Cognitivo Terapia del Campo Mentale TFT enricopallocca@gmail.com Tel: 3337422760 Bed&Breakfast Mina Castel Rigone Passignano sul Trasimeno Via dell'Ospedale 1