Leggimi la mano. Ask Me! Pregúntame! Chiedi a Me! E ADESSO A CHI LO DICO QUANDO NON C'E' PIU' NESSUNO A CUI DIRE LA NOSTRA PENA La #psicochirologia è capace di aiutare la persona ad interpretare gli aspetti della sua vita e ogni avvenimento può essere compreso secondo lo studio della #Chirologia. #Amicizia, #amore, #lavoro e #salute cambiano significato se sono interpretati attraverso la lettura della mano
Leggimi la mano. Ask Me! Pregúntame! Chiedi a Me! E ADESSO A CHI LO DICO QUANDO NON C'E' PIU' NESSUNO A CUI DIRE LA NOSTRA PENA La #psicochirologia è capace di aiutare la persona ad interpretare gli aspetti della sua vita e ogni avvenimento può essere compreso secondo lo studio della #Chirologia. #Amicizia, #amore, #lavoro e #salute cambiano significato se sono interpretati attraverso la lettura della mano
Leggimi la mano Chirologia
venerdì 5 agosto 2011
DOMENICA XIX - A
Cammina, cammina
nei sentieri della vita;
smarrisciti in deserti di morte,
l'angelo verrà a te.
Guarda con attenzione.
Vedi un pane e una bevanda?
Non disprezzare l'umile cibo.
Scruta il mistero!
Con la forza di quel cibo
camminerai a lungo.
Alla santa montagna
Dio ti attende.
Entra nella grotta,
attendi la Parola,
spada penetrante
in silenzio vivo.
Perché dubiti, uomo?
Fantasmi inquieti
da te salgono
nei meandri della mente.
Sei nella notte oscura,
verrà il mattino di luce,
il Cristo tuo Dio e Signore
ti prenderà per mano:
Sorgi! Usciamo di qui.
PRIMA LETTURA 1 Re 19,9a.11-13a
Dal primo libro dei Re
9 In quei giorni, Elia, [essendo giunto al monte di Dio, l’Oreb], entrò in una caverna per passarvi la notte, quand’ecco gli fu rivolta la parola del Signore [in questi termini: «Che cosa fai qui Elia?».]
In una caverna, lett. dice: nella caverna. È pertanto una caverna nota, là dove Mosè si era nascosto per contemplare la Gloria del Signore (cfr. Es 33,22). Già Elia si era coricato, quando il Signore, nella notte gli parlò. La domanda con cui il Signore inizia il dialogo con il profeta è venata di leggero rimprovero. «Che cosa fai qui, Elia, e non là dove devi essere?» Elia infatti era venuto di sua iniziativa; era fuggito dal suo posto, che era di stare con il popolo d’Israele.
Per paura il profeta aveva abbandonato il popolo e lo aveva quindi lasciato in mano dell’empia Gezabele.
[10 Egli rispose: «Sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi cercano di togliermi la vita».]
Il profeta presenta se stesso al Signore come uno pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, egli cioè ha compiuto tutto per onorare il Signore e perché il popolo lo riconosca come unico suo Dio. Egli quindi è tutto preso da uno zelo pieno d’intenso amore per il Signore, il Dio geloso (cfr. Es 34,14) abbandonato dai figli d’Israele. Egli elenca le loro colpe davanti al Signore: hanno abbandonato la tua alleanza, quella sancita al Sinai con le dieci parole, che implica un rapporto unico ed escludente con il Signore come lo è il patto nuziale.
Hanno demolito i tuoi altari (cfr. 1Re 18,30: Si sistemò di nuovo l'altare del Signore che era stato demolito).
Hanno ucciso di spada i tuoi profeti (cfr. 1Re 18,13: Non ti hanno forse riferito, mio signore, ciò che ho fatto quando Gezabele sterminava tutti i profeti del Signore, come io nascosi cento profeti, cinquanta alla volta, in una caverna e procurai loro pane e acqua?).
Sono rimasto solo ed essi cercano di togliermi la vita, davanti al Signore il profeta dichiara di essere l’unico rimasto a difendere la signoria di Dio sul suo popolo. Tutti i profeti del Signore si sono nascosti intimoriti dalla regina e non profetizzano più in nome del Signore.
Elia sta quindi davanti al Signore come colui che accusa i peccati del suo popolo e quindi implicitamente chiede al Signore che compia la sua vendetta.
11 Gli disse: «Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore». Ed ecco che il Signore passò.
Esci dalla grotta e fermati sul monte cioè all’ingresso della grotta. Vi è un intenzionale rapporto con la visione di Mosè sulla stessa montagna. «Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe» (Es 33,21). Questo esplicito riferimento mette in rapporto le due visioni nella stessa montagna, quella di Mosè e quella di Elia.
Ed ecco che il Signore passò. Continuano le corrispondenze con la visione di Mosè: «quando passerà la mia Gloria» (Es 33,22); Il Signore passò davanti a lui (Es 34,6). Il Signore è preceduto dai suoi messaggeri: il vento impetuoso, il terremoto, il fuoco (cfr. Sal 104,4: Fai dei venti i tuoi messaggeri, delle fiamme guizzanti i tuoi ministri).
Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. 12 Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco.
Il vento impetuoso annuncia la venuta del Signore anche nella visione del Carro della Gloria in Ez 1,4: Io guardavo ed ecco un uragano avanzare dal settentrione, una grande nube e un turbinìo di fuoco, che splendeva tutto intorno.
Ma il Signore non era nel vento. Ma Elia non vide nel vento la Gloria del Signore.
Dopo il vento ci fu un terremoto. Anche questo è un segno che appartiene alla teofania del Sinai, come precisa il Sal 68,9: la terra tremò, stillarono i cieli davanti al Dio del Sinai, davanti a Dio, il Dio d’Israele. Ma anche qui Elia non vide la Gloria del Signore.
Dopo il terremoto ci fu un fuoco. Anche nella manifestazione al popolo nel dono della Legge ci fu il fuoco: Il monte Sinai era tutto fumante, perché su di esso era sceso il Signore nel fuoco e il suo fumo saliva come il fumo di una fornace: tutto il monte tremava molto (Es 19,18).
Il Signore non passa attraverso questi segni di potenza e di giudizio perché vuole fare misericordia al suo popolo. Egli pertanto manifesta ad Elia questi segni della sua potenza ma non facendosi presente in essi Egli fa comprendere al profeta che non qui ma altrove Elia deve cercare la presenza del Signore.
Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera.
Il sussurro di una brezza leggera lett.: una voce silenziosa sottile. La voce del Signore non si confonde con quella dei suoi messaggeri (vento, terremoto,fuoco), che tanto impressionano noi uomini, ma essa si esprime nel silenzio e si fa penetrante. Egli vuol fare udire la sua Parola non incutendo a noi timore quale suscitano i suoi messaggeri ma vuole incontrarci in un profondo silenzio e vuole penetrare nel nostro intimo e incidere in noi la sua Parola. Non nel fuoco del Carmelo e non nella spada vendicatrice, Elia incontra il Signore, ma solo dopo un cammino di purificazione nel deserto. Dopo aver esperimentato l’insuccesso nella sua missione fino a desiderare la morte, solo allora Elia udrà la voce del Signore e ne riconoscerà le caratteristiche.
Tutto inizia di nuovo non più attraverso i segni, che incutono il timore e il terrore, ma attraverso la presenza, che penetra nell’intimo e porta alla conversione sincera.
Noi stessi siamo chiamati a fare un cammino, che ci porta sempre più nella pace dell’interiorità. Dai segni esterni, da noi invocati come presenza del Signore che giudica e che sembra dare la certezza della sua presenza, noi siamo condotti attraverso un cammino di purificazione e di spogliazione fino al monte della visione per udire nel silenzio la voce penetrante del Signore.
13 Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna.
Qui era presente il Signore per cui Elia compì lo stesso gesto di Mosè al Roveto (Es 3,6); infatti nessuno può vedere il Signore e rimanere in vita (cfr. Es 33,20). Elia si coprì con quel mantello, che lo caratterizzava come profeta e che poi sarà ereditato da Eliseo. Infatti ancora non si può vedere il Signore a volto scoperto. Nella profezia vi è ancora la visione in enigmi (cfr. 1Cor 3,13-16).
SALMO RESPONSORIALE Sal 84
R/. Mostraci, Signore, la tua misericordia.
Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore:
egli annuncia la pace
per il suo popolo, per i suoi fedeli.
Sì, la sua salvezza è vicina a chi lo teme,
perché la sua gloria abiti la nostra terra. R/.
Amore e verità s’incontreranno,
giustizia e pace si baceranno.
Verità germoglierà dalla terra
e giustizia si affaccerà dal cielo. R/.
Certo, il Signore donerà il suo bene
e la nostra terra darà il suo frutto;
giustizia camminerà davanti a lui:
i suoi passi tracceranno il cammino. R/.
SECONDA LETTURA Rm 9,1-5
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, 1 dico la verità in Cristo, non mento, e la mia coscienza me ne dà testimonianza nello Spirito Santo:
La nuova sezione sul mistero d’Israele inizia con questa solenne affermazione: Dico la verità quale è contenuta nelle divine Scritture, in Cristo, che è la verità. Poiché Cristo è in Paolo e parla attraverso di lui, in Paolo vi è la verità di Cristo (2Cor 11,10), per questo dice: non mento. Quanto dice è tutto verità e non vi è menzogna. È l'Evangelo, non parola dì uomo. Se tale fosse sarebbe menzogna. Quanto sta per dire trova la testimonianza della sua coscienza nello Spirito Santo. La coscienza di Paolo è nello Spirito Santo e illuminata e mossa dallo Spirito dice che è vero quanto l'Apostolo sta per dire.
2 ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua.
Paolo ci rivela il fondo del suo cuore: esso è immerso in un grande dolore e in una sofferenza continua. Questa sofferenza non lo paralizza nel suo ministero ma addirittura lo rende più sollecito e lo muove a uno zelo grande per la conversione delle Genti in modo che Israele, ingelosito, si muova verso il Cristo e sì converta. La sofferenza e il dolore possono chiudere come anche, al contrario, stimolare nello zelo. Penso che la fede in Cristo e l'amore per Lui trasformino la sofferenza e il dolore in una forza dì speranza nelle situazioni drammatiche e insuperabili. Con le parole che seguono, Paolo entra in questo dramma d’Israele. Vi è condotto dallo Spirito che guida la sua coscienza e dal Cristo che gli rivela la verità
3 Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne.
L'anatema è oggetto dell’ira divina ed è quindi votato alla distruzione. Per amore di Cristo e dei suoi fratelli a lui consanguinei secondo la carne, egli desidera ardentemente essere anatema cioè vittima nel Cristo, divenuto maledizione. Così Paolo vuole che la maledizione, che è su Israele, perché ha rinnegato Cristo, sia su di lui, che è in Cristo, in modo che la maledizione si trasformi in benedizione con la conversione. Lì è il Cristo, che continua a intercedere per Israele anche se odiato senza ragione e lì è l'Apostolo. Come il Cristo è abbandonato dal Padre così Paolo desidera essere separato da Cristo per ì suoi fratelli, a lui consanguinei nella carne. La separazione da Cristo non può avvenire ma Paolo può sentire in sé gli effetti di questa separazione come il Cristo sulla croce ha sentito l'effetto di essere separato dal Padre in quanto reso peccato senza essere peccatore e divenuto maledizione pur essendo il Figlio diletto. Chi è disposto a porre l’anima per ì fratelli come ha fatto il Cristo (cfr. 1Gv 3,16) può entrare dentro il dramma degli altri senza separarsi da Cristo pur sentendo in sé il dolore e la sofferenza dell'altro separato da Cristo. È una via che si esperimenta solo nell'amore e si attua solo nell'Incarnazione di Cristo. Solo dopo essersi offerto come anatema per i suoi fratelli, l'Apostolo può annunciare il mistero d’Israele e profetizzare sulla sua sorte, appoggiando la sua testimonianza sulle Scritture. Ora elenca quali siano i doni che caratterizzano Israele.
4 Essi sono Israeliti e hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse;
Israeliti cioè discendenti di Giacobbe chiamato da Dio Israele nel momento della lotta notturna. (Gn 32,28s).
L’adozione a figli. «I figli d’Israele furono adottati da Dio allora quando l’Altissimo divideva le nazioni e ripartiva i figli di Adamo secondo il numero degli angeli di Dio e Giacobbe fu costituito porzione del Signore e Israele parte della sua eredità (Dt 32,8-9)» (Origene, o.c., II,6). L’elezione d’Israele a essere eredità diretta del Signore senza la mediazione angelica come per le nazioni, lo costituisce figlio primogenito come è detto in Es 4,22: Figlio mio primogenito è Israele e in Os 11,1: Dall'Egitto chiamai mio figlio.
Dall'essere figli conseguono i doni, che subito elenca.
La gloria. Solo a Israele Dio sì è rivelato nella sua gloria accompagnandolo lungo il cammino nel deserto e riempiendo la Tenda santa e il Tempio di Gerusalemme. Essa si è rivelata al profeta Isaia (Is 6,1s.) e in mistiche visioni a Ezechiele. Essa sì è tutta racchiusa nell’Unigenito, di cui gli apostoli hanno visto la gloria e riempie la Gerusalemme dall'alto. Ora è presente nell'Evangelo che è annunciato nella Chiesa.
Israele non è escluso da questa gloria ma deve passare attraverso il Cristo ed entrare con Lui nella sua gloria.
Le alleanze. Il plurale denota la provvisorietà delle antiche alleanze contro l'unica e perfetta alleanza nel Cristo. Mentre nelle antiche alleanze in modo graduale e provvisorio Dio si univa a noi, negli ultimi tempi si è unito a noi con un vincolo indistruttibile nel Cristo e in modo pieno.
La legislazione. Essa è stata data a Israele al Sinai e in virtù di questo dono, mediante il quale gli Israeliti hanno potuto conoscere il volere di Dio, è iniziato il culto.
Il culto è quello che, attraverso simboli e profezie, è stato compiuto da Israele nella Tenda santa e nel Tempio. Esso aveva in sé l'ombra delle realtà future. Ora il culto spirituale ha sostituito l’antico culto e anche Israele deve passare dall'ombra dei simboli antichi alla realtà del nuovo culto.
Le promesse. Essendo figlio, Israele è entrato nel patto e ha ricevuto la legge. In tal modo ha ricevuto anche le promesse perché queste sono l'adempimento di quanto è contenuto nella legge e nelle alleanze.
5 a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen.
I padri Abramo, Isacco e Giacobbe sono i depositari della promessa. Cristo, nato dal seme di Davide secondo la carne (1,3), proviene da Israele. Questo è innegabile anche se Israele lo rinnega. Egli sta al vertice dì tutti i doni fatti agli Israeliti ed è anche il compimento di essi e la rivelazione del loro significato. Israele nella sua elezione dice rapporto al Cristo e quindi trova in Lui il suo significato nella storia della salvezza. Negando questo rapporto nega se stesso, questo è il suo dramma. È quanto afferma Origene citando Os 9,12: «Guai a loro perché la mia carne deriva da essi. Ma perché guai a loro? Perché Gesù è nato per la rovina e la risurrezione di molti e perché fu ripudiato da coloro dei quali era carne; e fu accolto dai Gentili dai quali non era conosciuto, cosi come è detto anche per mezzo di David: Un popolo che non conobbi mi ha servito (Sal. 17,45)» (II,7).
All'affermazione della vera umanità segue la dossologia a Cristo: questa è l’affermazione della sua divinità e del suo stato glorioso attuale. Egli è anzitutto colui che è sopra ogni cosa. L'Apostolo esprime il contenuto del Nome divino: Colui che è e la sua signoria: sopra ogni cosa, che Egli condivide con il Padre; per questo è proclamato Dio benedetto nei secoli. Così è benedetto il Cristo lungo tutti i secoli in quanto tutto e tutti Egli riempie della sua signoria e tutti lo percepiscono Dio, unico Dio con il Padre. Questa parola è vera e l'Apostolo la suggella con l'Amen.
CANTO AL VANGELO Sal 129, 5
R/. Alleluia, alleluia.
Io spero, Signore.
Spera l’anima mia,
attendo la sua parola.
R/. Alleluia.
VANGELO Mt 14,22-33
Dal Vangelo secondo Matteo
[Dopo che la folla ebbe mangiato], 22 subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla.
Subito, non vuole che indugino nel cammino, devono distaccarsi e proseguire oltre nella conoscenza del suo mistero; costrinse, è con autorità che allontana i discepoli dalle folle e li costringe a salpare verso l'altra riva, devono andare senza Cristo per un tratto di mare.
Valore simbolico: «Trascendere quello che si vede ed è corporeo e temporale per giungere a quello che non si vede che è eterno» (Origene). È quindi un momento di solitudine e di prova questa navigazione nella notte e senza Cristo.
Assomiglia al cammino di Elia nel deserto prima di arrivare alla santa montagna.
23 Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo.
Mentre essi stanno navigando Egli è solo sul monte in colloquio con il Padre. L'assenza è caratterizzata dalla preghiera. Egli è sempre vivo che intercede per noi (Eb 7,25). La sua preghiera regge la barca dei discepoli e dà loro forza per procedere nella notte della fede fino alla quarta veglia.
24 La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario.
La barca ha già compiuto faticosamente molte miglia, benché sia tormentata dalle onde a causa del vento contrario ed abbia proceduto nella notte per il tempo di tre veglie.
La notte è simbolo di questo momento, come è detto in Rm 13,12: La notte è avanzata, il giorno è vicino. Gettiamo via perciò le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. La notte del tempo presente viene percorsa attraverso varie prove e difficoltà che si abbattono sulla Chiesa e su ciascuno. Le onde si abbattono sulla barca per rovesciarla perché lo spirito delle tenebre soffia in modo contrario per impedire il proseguire della navigazione e giungere così all'altra riva. I discepoli hanno una sola forza per progredire, l'obbedienza al Signore che li ha costretti a salire sulla barca e la sua preghiera.
25 Sul finire (lett.: alla quarta vigilia) della notte egli andò verso di loro camminando (lett.: passeggiando) sul mare.
È l'ultima veglia della notte (h. 3-6). Ormai è passata la maggior parte della notte e il Signore non è venuto da loro e nemmeno lo aspettano perché pensano di trovarlo all'altra riva. Essi nelle veglie precedenti sono penetrati sempre più profondamente nel mistero d’iniquità, ne hanno sentito la forza abbattersi su di loro e hanno dovuto faticare e resistere per proseguire e tenere la direzione giusta. «Dobbiamo perciò essere pazienti per tre veglie della notte, cioè delle tenebre che sono nelle onde e proseguire combattendo bene secondo le nostre forze, facendo attenzione di non fare naufragio riguardo alla fede o qualche altra virtù» (Origene). Dopo aver passato queste prove, alla prima luce, che rischiara le tenebre, Cristo viene camminando sul mare (cfr. Gb 9,8: come su un pavimento) facendo vedere la sua signoria sul potere delle tenebre.
26 Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura.
Dopo le fitte tenebre, nell'ultima fase della notte, vi è la visione di Lui che cammina sulle acque. La fede contempla il Verbo nei segni sacramentali perciò ancora non lo riconosce. Lo vede nella parola che tutto domina ma gli appare come un fantasma; lo vede nel sacramento del suo Corpo e del suo Sangue ma ancora gli appare come un fantasma cioè non ne percepisce la pienezza della vita nel mistero della sua risurrezione (cfr. Lc 24,37). Questa percezione imperfetta del Cristo non elimina la paura e il grido di spavento.
27 Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!».
Solo quando Egli rivela se stesso: IO SONO dona coraggio ed elimina la paura. La percezione di Lui come il Dio di Abramo, d’Isacco e di Giacobbe infonde coraggio. È la forza della fede. Questa contemplazione in virtù della sua parola avviene dopo aver attraversato le tenebre più fitte della prova, del silenzio di Dio, della solitudine. La Chiesa progredisce in questa conoscenza del mistero del suo Signore lungo le veglie di questa notte di attesa. Allo stesso modo succede anche per ciascun discepolo nella cui vita terrena spiritualmente si compendiano le veglie notturne dell'attesa.
28 Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque».
Emerge ora la figura di Pietro, che in forza della rivelazione del Cristo, «Io Sono», è attratto ad andare da lui, dietro suo comando, camminando sulle acque.
Pietro è attratto irresistibilmente dal Cristo e vuole andare da lui, anche se questo è impossibile all'uomo. Infatti chi può camminare sulle acque? Il popolo attraversò all'asciutto il mare e il fiume, nessuno ha camminato sulle acque. Il discepolo, attratto da Cristo, che si rivela, può compiere quello che mai è stato fatto. Infatti nella fede «si manifesta la potenza divina del Cristo e che tutto è possibile a chi crede» (Cromazio). Non vi è nulla, infatti, che possa ostacolare il discepolo nell'andare a Cristo né il vento contrario e neppure la natura dell'acqua.
29 Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù.
Al comando di Gesù, vieni, Pietro scende e cammina verso di Lui sull'acqua. La forza del comando regge il discepolo, rendendolo partecipe della forza del Cristo. Finché il discepolo crede alla Parola del Cristo può camminare là dove è impossibile. Nulla è nel discepolo, tutto è nella Parola di Cristo. Questo è l'Evangelo. Esso non convince l'uomo di essere capace di compiere quello che è comandato, ma gli comunica la forza per eseguirlo finché il discepolo aderisce nel suo intimo a Cristo nel camminare verso di Lui anche là dove all'uomo è impossibile andare.
30 Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!».
Questa fede subisce la prova espressa nel vento forte. Infatti Pietro vede il vento forte e ha paura. Sono le forze che si abbattono sul discepolo per provarne la fede. La paura è l'effetto della tentazione che, entrando nel cuore del discepolo, gli fa sentire lontano il Signore e presente le difficoltà insormontabili in cui si trova. È la debolezza della carne che prevale sullo spirito, che è stato pronto ad aderire al Cristo. Prevalendo la debolezza della carne, Pietro cominciò ad affondare; ma ecco di nuovo la forza della fede nel grido: Signore, salvami. Questa è la nostra fede propria di chi è debole. Quando l'acqua giunge all'anima allora questo è il grido: Salvami, o Dio perché sono caduto in acque profonde e l'onda mi travolge (Sal 69, 2-3). Il discepolo è voluto andare incontro a Cristo fondandosi solo sulla Parola, poi, durante il cammino, percepisce la difficoltà e allora ha paura e cominciando ad essere invaso dalle acque profonde l'unica salvezza è gridare il Signore. Se nella sua fede aveva esperimentato la potenza del Signore camminando sulle acque, ora la esperimenta nell'essere salvato. Qui «Signore salvami!» corrisponde a «salvami, o Dio» del salmo. Nel Signore, che lo salva, riconosce il suo Dio.
31 E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».
Al grido di supplica subito il Signore risponde stendendo la sua mano, come stese la sua mano per liberare il popolo dalla schiavitù egiziana (cfr. Es 7,5) e afferra Pietro rimproverandolo: Uomo di poca fede, perché hai dubitato? Pur continuando a credere «il discepolo si inclina verso un'altra direzione, la diffidenza» (Origene). Il dubbio infatti indebolisce la fede e le toglie la sua forza operativa e lascia l'uomo in balia della sua debolezza e quindi soggetto alle potenze contrarie al Cristo. Crede colui che infrange i suoi dubbi e le sue paure contro la roccia della fede in Cristo; viene salvato chi, pur avendo dubitato, non si lascia sommergere dal dubbio, ma grida a Cristo riconoscendolo Signore e Dio. Nella fede, il cuore giunge alla semplicità.
33 Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».
Il Cristo sale con Pietro sulla barca e il vento cessa. A periodi di prova succedono tempi di pace e di tranquillità nei quali si proclama la propria fede.
Ormai giunto il mattino, i discepoli lo adorano e dicono: Veramente tu sei il Figlio di Dio. La storia della Chiesa è già illuminata dalla luce del giorno della risurrezione, nella quale si riconosce e si professa la propria fede senza dubbi (veramente) in Gesù, il Figlio di Dio. In questa luce si giunge al termine del proprio itinerario di fede.
Appunti di omelia
d. Umberto Neri: ho sentito questo tratto fortemente tipizzato della storia della salvezza, del tempo intermedio tra la prima e la seconda venuta. Costrinse (v. 22) è la necessità: la sottomissione al comando del Signore e l'angoscia degli ultimi tempi. Al di là, è l'al di là per definizione, per essenza; è l'al di là di questa vita terrena. durante tutto il tempo che prepara la sua seconda venuta Gesù è sul monte, solo nel seno del Padre sempre vivo a intercedere per noi. Non è la difficoltà normale della navigazione, sono le potenze avverse. Verso la quarta veglia della notte, al mattino, perché Egli viene al mattino.
Passeggia sulle acque: le potenze avverse lo sostengono, fanno sgabello ai suoi piedi. Gesù quando appare nella gloria non è conosciuto: è l'impossibilità di qualsiasi creatura di cogliere lo splendore della sua gloria. Fatti coraggio, è la consolazione escatologica data a quelli che hanno sofferto. Io sono: è l'affermazione della sua unicità.
Pietro chiede: Se tu sei ecc. la forza della signoria del Cristo in noi, è l'esperienza della nostra vittoria sulle potenze - Salvami: se si cammina sulle acque è sempre in virtù di una potenza continua che ci sostiene.
Quando Gesù entra cessano le lotte. L'adorazione dei discepoli è tutta l'eternità nella quale pensiamo a glorificare Dio per sempre.
d. Giuseppe Dossetti: e subito dopo la moltiplicazione dei pani li costrinse, tutto quello che è stato detto lo vedo in rapporto all'eucaristia: li ha sfamati col pane e ora li costringe ad andare; fa loro fare questa esperienza di morte e di vita. Lo vedo sempre in questa prospettiva che l'Eucaristia non è solo un atto di culto, ma lo scatenamento dentro di noi di necessità di lotta, di buio, anche di vittoria: lo mangiamo tutto intero come risorto e ciò che c'è in Lui viene in noi: quindi la lotta è la vittoria. I misteri dell'esistenza nessuno li conosce: quando si fanno certi giudizi sulle donnine che sono a Messa si sbaglia molto perché non si può pensare che chi mangia continuamente il Corpo non sia da Lui guardato: nessuno conosce l'intimo di queste persone, delle loro lotte nelle quali le pone il Signore, della fede che fa loro compiere. Il Signore ci condurrà a Lui e dobbiamo rinnovare il nostro atto di fede perché non è mai definitivo. La forza è da Lui subito: non ci dobbiamo turbare troppo se abbiamo delle tempeste, l'Eucaristia che produce le tempeste, essa stessa le sana e le guarisce. «Veramente tu sei il Figlio di Dio» e non c'è tempesta che possa togliere da noi questa fede
(appunti di omelia dialogata, Gerico 13. 8. 1972).
Nota
Ovunque siamo, siamo in cammino verso Dio, anche nel più profondo smarrimento. La santa montagna ci attende non come luogo di vendetta e di giustizia ma come luogo di conoscenza della misericordia di Dio. Non solo ma Gesù stesso viene verso di noi passeggiando sulle forze scatenate contro di noi.
Noi percepiamo questa tempesta, che vuole travolgerci sia dentro che fuori di noi, e lo stesso Signore sembra comparire tra i fantasmi della nostra mente e quindi spaventarci più che rassicurarci.
Ma come il profeta Elia percepì la presenza del suo Dio nella voce silenziosa e penetrante così ora i discepoli sentono la presenza di Gesù nella sua voce che lo rivela. Tutti siamo incamminati verso la rivelazione di Gesù.
PREGHIERA DEI FEDELI
C.: Come Elia anche noi sostiamo ora nel cammino per ristorarci della Parola di Dio, nutrirci del Pane della vita e abbeverarci al dono dello Spirito Santo.
Ascoltaci o Signore per la gloria del tuo Nome.
Accogli, Signore, questa preghiera per la pace dei popoli, per la salvezza di tutti gli uomini e per la gioia di tutta la Chiesa, noi ti preghiamo.
Ricordati, o Signore, di quanti sono smarriti, il tuo angelo santo li guidi sulla via della salvezza e ti possano incontrare nel silenzio della tua Parola, noi ti preghiamo.
Il tuo Spirito Santo ci guidi in questa attraversata dalla sponda del tempo a quella dell’eternità perché non ci lasciamo smarrire dalle difficoltà ma conserviamo limpida la nostra fede in te, noi ti preghiamo.
Ammetti alla tua presenza i tuoi poveri perché trovino in te il loro consolatore e difensore, noi ti preghiamo.
Ci conforti sempre la preghiera della Madre del tuo Figlio dal quale abbiamo ricevuto il dono della vita, noi ti preghiamo.
Onnipotente Signore, che domini tutto il creato, rafforza la nostra fede e fa’ che ti riconosciamo presente in ogni avvenimento della vita e della storia, per affrontare serenamente ogni prova e camminare con Cristo verso la tua pace.
Per Cristo nostro Signore.
Amen.
Nessun commento:
Posta un commento
Enrico Pallocca Coaching Cognitivo Terapia del Campo Mentale TFT enricopallocca@gmail.com Tel: 3337422760 Bed&Breakfast Mina Castel Rigone Passignano sul Trasimeno Via dell'Ospedale 1