mercoledì 4 aprile 2012

Lettera del Commissario a Frati, Monache e OCDS


Ordine Carmelitani Scalzi

Commissariato dell’Italia Centrale

"San Giuseppe"



Lettera del Commissario a Frati, Monache e OCDS


Settimana Santa, Pasqua 2012


Carissimi fratelli e sorelle del Commissariato del Centro Italia,

la nuova realtà nella quale si trova inclusa la vita delle nostre fraternità del centro-Italia, sotto il patrocinio di San Giuseppe, ha compiuto il primo anno di cammino. Siamo grati al Signore per le gioie e le prove di questo tempo. Continua il cammino dei postulanti a Pisa, come anche il progetto di formazione dei formatori; si sono svolti e si svolgeranno altri incontri trasversali, tematici, tra religiosi delle due province confluenti nel commissariato; proseguono le iniziative di spiritualità presso alcuni conventi e monasteri, portate avanti da religiosi, religiose, membri dell’ordine secolare, laici e famiglie di gruppi intimamente legati alla nostra famiglia religiosa; ma è anche iniziato il percorso di esclaustrazione di fra Angelo Passante e P. Windel Pastoriza: li accompagniamo con la preghiera, l’affetto e l’amicizia di sempre!

Ogni evento, in una prospettiva di fede purifica e rinforza le motivazioni per le quali lavoriamo nel campo del Signore; ma non sempre è così…

La speranza – orientamento indispensabile perché la nostra vita religiosa abbia un senso – richiede nel suo esercizio quotidiano umile laboriosità e disponibilità al cambiamento. Viceversa, nello stagno del nostro "quieto vivere" troveremmo solo stanchezza e una rigidità refrattaria a qualsiasi novità.

Non posso non denunciare un appiattimento della nostra vita, personale e fraterna, divenuta in molti casi adesione acritica allo schema di questo mondo. Un tale raffreddamento non è ingenuamente imputabile al benessere, alle seduzioni del mondo, all’uso dei moderni mezzi di comunicazione; e neanche alla situazione morale del singolo religioso/religiosa, se è vero che alcuni grandi peccatori hanno potuto amare il Signore alla follia…

Denunciamo piuttosto, un male radicale, che contamina il cuore, origine del cattivo uso dei beni creati e dei nostri stessi simili; un male occulto, sempre più celato alla coscienza, nascosto ad ogni occhio anche dietro ineccepibili liturgie di vita.

Il male in questione, il cui nome è indifferenza, il quale avrà certamente origini ancor più remote, mi sembra trovi una sua descrizione grafica nelle parole della nostra amata Teresa di Gesù:


Si deve intanto considerare che la fonte, o, a meglio dire, il Sole splendente che sta nel centro dell'anima, non perde per questo il suo splendore né la sua bellezza. Continua a star nell'anima, e non vi è nulla che lo possa scolorire. Supponete un cristallo esposto ai raggi del sole, ravvolto in un panno molto nero: il sole dardeggerà sulla stoffa, ma il cristallo non ne verrà illuminato.
Anime redente dal sangue di Gesù Cristo, aprite gli occhi e abbiate pietà di voi stesse! Com'è possibile che, persuase di questa verità, non procuriate di togliere la pece che copre il vostro cristallo? Se la morte vi sorprende in questo stato, quella luce non la godrete mai più!
O Gesù!... Che orrore vedere un'anima priva di questo lume! Come rimangono le povere stanze del castello! Che turbamento s'impossessa dei sensi che ne sono gli abitanti! In che stato di accecamento e mal governo cadono le potenze che ne sono le guardie, i maggiordomi e gli scalchi! Ma siccome l'albero è piantato nella stessa terra del demonio, che altro ne può venire?
(1M 2,3-4)



Con un tale "cappotto" che ci fascia il cuore e il volto, ben più opaco dei nostri abiti, come potrà farsi strada la bella luce ricevuta in dono con la vocazione al Carmelo? In mezzo ad una tale oscurità, certamente non invocata, ma che ci trova di fatto compiacenti, come potremo trovare gioia in ciò che siamo chiamati ad essere? Con quale luce, infine, vorremmo illuminare ed accogliere nuove vocazioni se noi stessi non possiamo offrire un’accoglienza familiare e fraterna degna di tal nome?

Comunità vive. Non una o due, di per sè, ma tutte. Comunità che hanno saputo sinceramente valutare e riconoscere le loro "morti" e che si incamminano veramente verso la Pasqua.

Desidero essere concreto e, in base alla conoscenza maturata in questo anno di visite fraterne, colloqui, ascolto e preghiera, declinare la triste parola – indifferenza – per inculturarla nei vostri luoghi di vita. Ciò che comunico con schiettezza non serve a scongiurare la paralisi delle nostre comunità; domando quindi che questo testo possa essere letto e condiviso in una riunione comunitaria pensata a questo scopo.

Mi limito ad indicare alcuni degli ambiti nei quali l’indifferenza si è infiltrata, in alcuni casi portando alla paralisi della fraternità e consegnando la rispettiva comunità ad un triste, ma annunciato epilogo.


- La comunione tra noi può migliorare!
Nella prassi pastorale consigliamo sapientemente a coloro che si amano di riservarsi un tempo di qualità per l’incontro. La qualità di questo incontrarsi, per noi, è da ricercarsi innanzitutto dinanzi al mistero dell’eucarestia, opportunamente programmata, preparata e concelebrata settimanalmente. Tuttavia un tempo di qualità, quotidianamente creato, dovrebbe far sperimentare a noi e a chi ci frequenta la gioia; una gioia non solo sentimentale, non "come la dà il mondo", ma una gioia di conquista, donata e anche virtuosa.


- La stima vicendevole a proporzione dell’amore con cui il Signore ci ama.
Se S. Paolo nelle lettere ricorda ai fratelli di "stimare gli altri superiori a se stessi…", a noi sarebbe sufficiente accogliere la prima parte della bellissima parenesi: stimiamoci a vicenda! L’indifferenza, il silenzio e finanche il veto incrociato…sono forme assai curiose di stima. Sarebbe un segno veramente profetico se apprezzassimo l’altro/a per ciò che è e ciò che fa e… - udite! - se addirittura ce lo comunicassimo!


- Il tempo della formazione e dell’aggiornamento non finisce mai!
È compito grave di ciascuno provvedere con letture, corsi, approfondimenti che alimentino la preparazione spirituale e teologica; strumenti con i quali ci poniamo in ascolto di un mondo le cui esigenze di crescita umana sono tutt’altro che ovvie. Con la plena cura delle persone che domandano ascolto e consiglio ci è stata affidata una responsabilità di cui conosceremo le immense proporzioni solo nell’incontro con il Signore. Responsabilità che, per la natura del nostro servizio, non va mai dissociata da una profonda umiltà: nessun padrone, un solo Signore, tutti amministratori di beni che non ci appartengono.


- La collaborazione per la "costruzione del Regno".
Nel contesto sociale che ci accoglie domina incontrastata la legge dell’individualismo. Noi invece viviamo in comunità: anche in ciò sta il vigore profetico della nostra vocazione. Tuttavia possiamo e dobbiamo cercare "la stretta" pressante di questa convivenza, pensando e progettando insieme, collaborando. Dentro ad ogni collaborazione che nasce tra noi si assiste alla morte di qualcosa: la morte di quel progetto di superbia che tentiamo di uccidere per altre, "sperimentate" vie di ascesi. L’esercizio del superiorato, l’obbedienza vicendevole, la consultazione previa in ogni progetto, sono già i primi, grandi passi verso la collaborazione e compartecipazione tra fratelli.


- Si può lavorare di più.
La generosità di tanti confratelli ci edifica. Ma non è ancora instancabile. Sembrerà strano, ma il Signore ci domanda di più, in termini d’iniziative, di proposte, di generosità… Teresa ci direbbe: "Non avete ancora dato la vita…" E chi di noi potrebbe contraddirla? Ci mancano soprattutto proposte ed iniziative più vigorose e sistematiche nei confronti dei giovani; proposte non "solitarie", ma condivise con la comunità di appartenenza e coordinate in collaborazione con religiosi/e e laici.


Carissimi confratelli e carissime consorelle al Carmelo, questi ed altri ambiti che saprete opportunamente rilevare nella prossima occasione di dialogo comunitario rappresentano a mio avviso le linee di valutazione della bontà del nostro cammino fraterno. Una verifica sincera – converrete con me – va fatta, per prepararci nel migliore dei modi a tempi materialmente difficili. E dal momento che nessuna prova ci viene risparmiata (!), è bene che il Signore ci trovi vivi e vigilanti nell’attesa, ben forniti di lampade e di olio…


"Questo vi dico, fratelli: il tempo ormai si è fatto breve; d'ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l'avessero; coloro che piangono, come se non piangessero e quelli che godono come se non godessero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo!"
(1 Cor 7, 29-31)


Buona Pasqua a tutti!

Un fraterno abbraccio,


fra Gabriele Morra, commissario



 

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